così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza
così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza

così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza

Con la tua nuvola di dubbi e di bellezza.

C’era stata una volta in cui una tempesta lo aveva svegliato nel cuore di una piccola tenda da campeggio.

Si nascose in questo ricordo di cera e sudore, mentre l’altoparlante continuava a disseminare giuliva i suoi sermoni incomprensibili per l’aria e sul display del cancello d’imbarco cominciava a comporsi il nome di casa sua.

Quella volta, nella tenda, il respiro si era fermato con i piedi coperti di fango e la fronte deformata, a qualche centimetro dai suoi polmoni. Non ricordando nessun consiglio e neppure un rudimento di training autogeno per dilettanti, si era inventato una raccomandazione. Così, di sana pianta. Aveva bisogno che il rituale del prossimo gesto fosse legittimato da una fonte autorevole e saggia. Aveva bisogno di una massima di vita mai ascoltata. Quindi l’aveva inventata. Dalla bocca di qualcuno, in qualche tempo e in qualche modo importante, era sgorgato dunque il vincente monito di salvezza: se sei in pericolo, guarda le luci. Non ci fu un solo istante in cui ritenne la cosa minimamente geniale o lontanamente utile. Ma non ci fu neppure scelta. In pochi secondi quel gesto muto e impeccabile divenne una garza imbevuta di zucchero e pece per la sua ferita invisibile. Si concentrò sull’unica luce presente nella piccola canadese. Una torcia di plastica appesa a un cordino, all’incrocio delle cuciture. Si placò. Fu nell’istante in cui ebbe il sospetto di poterne controllare le frequenze oscillatorie con il ritmo dei battiti, finalmente domato, che, placido, si addormentò.

Pensava così e lo pensava fortissimo, mentre sciami di turisti di sfilavano con le facce disfatte come letti d’estate a bordo dei loro coloratissimi trolley. Poi il gate si schiuse come un sipario su uno sciame di gambe, di occhi, di valige e di giacche, e su un sorriso di burro e fondotinta, in fila per l’imbarco.

Prenderle la mano fu un riflesso istintivo e rischioso. Non controllò neppure la traiettoria goffa, distratta del braccio. Con le sopracciglia imperlate di futili presagi e le labbra screpolate da un sussulto impercettibile, si sorprese a chiedere a quell’immensa sconosciuta: stai con me.

Fu come far schioccare il chewingum tra i denti. La “m” vibrò sulle labbra, riscattandolo dal suo torpore.

Lei lo fissava senza stupore.

Lo guardava semplicemente, come si guarda un uomo e la sua incantevole paura. Come si osservano le luci di Natale.

Sorrise. Come sorride un’adolescente dentro le sue scarpe nuove.

Non lasciò la sua mano nemmeno per sfilare il passaporto dalla tasca dei jeans. Nemmeno per allacciare la cintura di sicurezza. Nemmeno per scostare i capelli dalla fronte.

Tutto il fremito del decollo fluì lento verso i tribali dei polpastrelli e lei lo accolse dolcemente sui suoi.

Entrambi furono colpiti alle tempie da un’improvvisa, calda folata di perfezione, che fece dondolare un milione di torce appese a parole, che non avevano più niente da dire.

Se sei in pericolo, guarda le luci.

E adesso aspetterò domani

per avere nostalgia

Signora Libertà, Signorina Fantasia

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